DOMUNI UNIVERSITAS

Un'etica per una società secolarizzata

22 maggio 2020 | documento
Un'etica per una società secolarizzata

Autore: Norberto Bobbio

 Norberto Bobbio è morto nel 2004, ma questo suo intervento mantiene, 40 anni dopo essere stato scritto, la validità che solo i testi classici posseggono.

 

 

 

 

Un'etica per una società secolarizzata

 

 

Bisogna distinguere anzitutto la tolleranza dell' errore da quella del d'verso, sono problemi differenti. Il problema tradizionale della tolleranza è quello della tolleranza dell'errore; non dico che I due problemi non siano connessi bisogna però essere coscienti che sono due problemi diversi. Quando si parla di tolleranza la si considera nel significato tradizionale del termine che è quello di tolleranza dell' errore.

            Dall'accusa che il tollerante muove all'intollerante di essere un fanatico l'intollerante si difende accusandolo di essere uno scettico o per lo meno un indifferente, che non ha forti convinzioni e non ritiene vi sia alcuna verità per cui valga la pena di battersi. Il dottore ebreo che consigliò i suoi cittadini a non perseguitare gli apostoli e fu esaltato come eroe della tolleranza nelle controversie religiose del XVI secolo fu chiamato da Calvino scettico. È ben nota poi la controversia che vide opposti i filosofi e i politici che nei primi anni del secolo avevano rivendicato il principio della tolleranza come fondamento dello Stato liberale, e Benedetto Croce il quale, dopo aver affermato che la tolleranza è formula pratica e contingente e non già principio universale, sostiene che essa non può essere usata come criterio per giudicare ciò che è bene o male nella storia, la quale procede nel suo cammino anche e soprattutto per virtù degli intolleranti. Tra i tolleranti non sempre vi furono gli spiriti più nobili ed eroici, spesso vi furono i retori e gli indifferenti. Gli spiriti vigorosi ammazzavano e si facevano ammazzare: questa è la storia e nessuno può mutarla!

            Per questo ritengo occorra dare delle ragioni della tolleranza, perché spesso sono gli intolleranti che hanno sostenuto di avere ragione: questa è la concezione realistica della storia e della politica di cui Croce era seguace attraverso la lettura e la lezione di Machiavelli e soprattutto di Marx, quel Marx che gli aveva fatto dire pochi anni dopo che "lo aveva liberato dalle alcune seduzioni della dea giustizia e della dea libertà''.

            Da parte dell'intollerante o da chi si pone al di sopra dell'antitesi fra. tollerante e intollerante il tollerante sarebbe tale non perché gli importi che ciascuno possa esprimere la propria verità, ma perché non gli importa nulla della verità.

            Vorrei esaminare brevemente le buone ragioni della tollera, quella che oggi si definirebbe in linguaggio filosofico, in filosofia morale, la giustificazione che è il problema fondamentale di tutta l'etica razionale. Non credo che l'antitesi indifferenza-fanatismo si ripercuota fedelmente nell'antitesi, essenzialmente pratica, fra tolleranza e intolleranza. Distinguerei sei ragioni, iniziando da quelle più umili per arrivare a quelle che ritengo più alte: ragioni pratiche in gran parte le prime, teoretiche le altre.

            La ragione più bassa e più vile, che pure è quella che ha finito per fare ammettere il rispetto almeno pratico e politico delle diverse tesi ed opinioni, anche da parte di coloro che sarebbero in linea di principio intolleranti, è la tolleranza come male minore, necessario, come atto di prudenza pratica, che non implichi in alcun modo la rinuncia alla propria fermissima convinzione, ma che ritiene che la propria verità abbia tutto da guadagnare a sopportare l'errore altrui, perché la persecuzione, invece di debellarlo, finirebbe per rafforzarlo, L'intolleranza non paga.

            Si vede anche a questo infimo livello la differenza tra il tollerante e lo scettico: questo è colui cui non importa quale fede trionfi, l'altro è in questo caso colui cui importa molto che trionfi una fede piuttosto che un'altra, ma ritiene che attraverso la tolleranza dell" 'errore" il suo fine possa essere raggiunto meglio che con l'intolleranza. Questa ragione assume diverse coloriture a seconda della natura dei rapporti di forza. Se sono io il più forte, accettare l'errore altrui può essere un atto di astuzia: la persecuzione dà scandalo, lo scandalo allarga la macchia che deve invece essere nascosta e l'errore si propaga più nella persecuzione che nella benevola indulgenza. Se sono il più debole invece la sopportazione dell' errore altrui è uno stato di necessità: se mi ribellassi sarei schiacciato e perderei ogni speranza che il mio piccolo seme possa fruttificare in futuro. Se siamo pari entra in gioco il principio della reciprocità sul quale si fondano tutte le transazioni, i compromessi, gli accordi che sono alla base di una convivenza pacifica: la tolleranza è allora effetto di un do ut des, un modus vivendi. In tutti e tre i casi la tolleranza è coscientemente un calcolo che non ha niente a che vedere con il problema della verità.

            La tolleranza rappresenta la scelta del metodo della persuasione rispetto a quello della coazione e questa è già una scelta morale e non solo di prudenza politica, nel senso che presuppone la fiducia nella ragione. Dice Tommaso Moro nell' Utopia: «Essere temerario è stolto, pretendere con violenza e minacce che ciò che tu vedi vero appaia tale per tutti. Soprattutto poi se una religione è vera e tutte le altre sono false, si prevede che in futuro solo che si procedesse con moderazione la verità si sarebbe fatta luce una buona volta imponendosi per virtù propria. Se invece le contese si svolgono tra armi e risse, dato che proprio i peggiori sono i più ostinati, la religione più santa è destinata a venir sopraffatta nella zuffa frammezzo alle superstizioni come il frumento tra gli sterpi e i rovi».

            E scrive Locke: «Bisognerebbe desiderare che si permettesse un giorno alla verità di difendersi da sé. Ben poco aiuto le ha conferito il dispotismo dei potenti che né sempre la conoscono, né sempre l 'hanno in favore. La verità non ha bisogno della violenza per insinuarsi nella mente degli uomini ... se essa non illumina l'intendimento con il suo splendore non potrà certo farlo con la forza bruta».

            Adottare il metodo della persuasione e del dialogo piuttosto che quello dell'imposizione è la formula "occidentale" della non violenza. Questa idea sta tra l'altro alla base della democrazia moderna della quale la tolleranza è uno dei principi fondamentali. Si tratta di un vero e proprio meccanismo riflessivo: portare argomenti persuasivi in favore della persuasione, persuadere di persuadere.

            Al di là della ragione di metodo si può attuare a favore della tolleranza una ragione più sostanzialmente morale: il rispetto della persona altrui. Si potrebbe anche vedere in questa soluzione un caso di conflitto tra due principi morali: quello della coerenza che mi indurrebbe a porre la mia verità al di sopra di ogni cosa e quello della libertà altrui. Come il metodo della persuasione è strettamente connesso con la democrazia, così il riconoscimento del diritto di ogni uomo a credere secondo coscienza è strettamente connesso con l'affermazione dei diritti di libertà, primo fra tutti quello di libertà religiosa da cui sono discesi tutti gli altri: di opinione, di stampa ... che sono l'ossatura storica, etica dello Stato.

            Da questo punto di vista la tolleranza non è soltanto un male minore come nel primo caso o l'adozione di un metodo di convivenza come nel secondo, ma è il fondamento della regola senza la quale nessuna società ha libertà interiore. La tolleranza non è voluta perché socialmente utile o politicamente efficace, ma perché eticamente doverosa.

            Accanto alle ragioni che considerano il problema dal punto di vista della fecondità della tolleranza, ve ne sono altre che lo considerano dal punto di vista della natura stessa della verità, di coloro che hanno una concezione non esclusivistica della verità e ritengono che essa possa esser raggiunta solo attraverso il confronto o la sintesi di verità parziali. La verità secondo queste concezioni non è mai una, essa ha molte facce. Se chiamiamo sincretismo l'atteggiamento di chi crede che per giungere alla visione d'assieme occorre tener conto di più punti di vista, perché nessuno è di per sé esclusivo, il sincretismo è tollerante per necessità. Nel Rinascimento, il periodo delle grandi controversie religiose, il sincretismo fu uno degli ideali dell'umanesimo cristiano e dell'irenismo erasmiano. Il sincretista potrà essere accusato di fare mescolanze improprie, ma certamente non è uno scettico e tanto meno un indifferente, è uno che cerca appassionatamente.

            Diverso dal sincretismo è l'eclettismo. Per l'eclettico in ogni sistema la verità è mescolata all'errore, quindi nessun sistema ha il privilegio d'esser esso solo vero e nessuno d'esser totalmente falso. Più di ogni altro è nel vero chi non rifiuta nulla di ciò che è stato detto nelle varie scuole, ma è capace di tenere in serbo e far germogliare il granello di verità contenuto in ciascuna. Mentre il sincretista mira alla mescolanza di due o più sistemi, l'eclettico mira alla composizione di un nuovo sistema raccogliendo i frammenti di verità dovunque gli accada di trovarli. Come il sincretismo crebbe nel senso delle guerre di religione, l'eclettismo, la filosofia del juste milieu, nacque dall'esperienza dello scontro tra visioni della vita e della storia opposte che aveva avuta la massima espansione durante la Rivoluzione francese. Nelle controversie ideologiche che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi tenderei a considerare come eclettiche le posizioni che hanno dato luogo a quelle che si chiamano posizioni di terza via. Anche l'eclettismo come il sincretismo esprime un'esigenza irenica. Ho accennato al nesso tra tolleranza e democrazia da un lato, tra tolleranza e liberalismo dall'altro: a questo punto forse si dovrebbe passare al nesso tra tolleranza e ricerca della pace. Questi sono i tre grandi temi del mondo contemporaneo che sono, indubbiamente, legati al principio di tolleranza.

            La tolleranza favorisce sincretismo ed eclettismo ma è la condizione necessaria di una terza e più diffusa forma di visione pluralistica della verità che è lo storicismo (veritas filia temporis). Sincretismo ed eclettismo hanno in comune la convinzione che la: verità totale sia sempre la risultante combinazione di tante verità parziali, per lo storicismo ogni tempo e luogo ha la sua verità. Bisogna distinguere tra storicismo assolutistico e relativistico. Il primo combina l'affermazione della storicità della verità con quella della razionalità della storia per cui ogni stadio della storia include il precedente ed è incluso dal seguente: siffatto storicismo può giustificare l'intolleranza. Chi è convinto di incarnare un momento necessario dello sviluppo dello spirito assoluto si arrogherà il diritto di calpestare coloro che ostacolano il suo cammino. Tollerante è 'invece lo storicismo relativistico per cui l'affermazione della storicità della verità non implica una visione provvidenzialistica della storia, ma le diverse dottrine convivono su diversi piani nei diversi ambiti e semmai il progresso della conoscenza nasce dal loro scontro (concezione conflittualistica della società).

            Il termine tolleranza ha due significati, uno positivo e l'altro negativo, uno forte e l'altro debole e così il termine intolleranza. In senso positivo tolleranza si oppone a intolleranza in senso negativo e viceversa. Intolleranza in senso positivo è sinonimo di qualità positive: severità, rigore, fermezza; la tolleranza in senso negativo è invece sinonimo di colpevole indulgenza, indifferenza, condiscendenza all'errore per mancanza di principi o per amore del quieto vivere e cecità di fronte ai valori.

            Quando facciamo della logica della tolleranza uno dei principi fondamentali della democrazia intendiamo parlare di tolleranza in senso positivo, ma non dobbiamo dimenticare che i difensori dell'intolleranza si servono per denigrarla del suo senso negativo come mollezza e condiscendenza al male.

            La tolleranza assoluta è un'astrazione, la tolleranza storica, concreta è sempre relativa. Fra concetti estremi di cui l'uno è il contrario dell'altro esiste un continuo, una zona grigia, del né ... né dalla cui variabilità dipende se una società è più o meno tollerante o intollerante.

            Ogni forma di tolleranza positiva ha dei limiti che devono essere precisati.

            Vi sono varie gradazioni di intolleranza e vari ambiti in cui l'intolleranza si può esplicare. Questo criterio può essere accettato senza riserve per questa ragione essenziale: chi crede nella tolleranza non soltanto vi crede perché è convinto della necessità di non impoverire con interdizioni arbitrarie la varietà delle manifestazioni del pensiero umano ma anche perché crede nella sua fecondità e ritiene che il solo modo per persuadere ad accettare la tolleranza all'intollerante sia non la persecuzione ma la libertà.

            Rispondere all'intollerante con l'intolleranza può essere formalmente ineccepibile ma è certamente eticamente meschino e forse anche politicamente inopportuno. Non è detto che l'intollerante accolto nel recinto della libertà non capisca il valore etico del rispetto delle idee altrui ma è certo che l'intollerante perseguitato ed escluso non diventerà mai un fautore del principio di libertà.

            Può valere la pena mettere a repentaglio la libertà facendo beneficiare di essa anche coloro che non la stimano se l'unica possibile alternativa è di restringerla fino a quasi soffocarla o di non permettere di dare tutti i suoi frutti. Meglio una libertà sempre in pericolo ma espansiva che una libertà protetta ma incapace di svilupparsi. Solo una libertà in pericolo è capace di rinnovarsi; una libertà incapace di rinnovarsi si trasforma in breve in nuova servitù.

            La scelta fra i due atteggiamenti è una scelta ultima e come tutte le scelte ultime è tale da non essere facilmente sostenibile con argomenti razionali. Ritengo che valga la ragione etica come dicono i filosofi ma abbia dei limiti. Dipende poi in gran parte dalla situazione storica che può favorire l'una o l'altra soluzione. Nessuno penserebbe a rinnovare l'interdizione, oggi, dei cattolici come voleva Locke dacché le guerre religiose sono finite e non è prevedibile un loro ritorno in Europa; sarebbe quindi inopportuno applicare il principio rigido della intolleranza verso l'intollerante e invece in molti paesi europei esiste l'interdizione del partito comunista perché la grande divisione fra paesi democratici e paesi sottoposti a dittatura, ispirati al grande movimento comunista internazionale, è ancora presente ed operante nel mondo.

            Oggi il grande dibattito riguarda l'intolleranza nei confronti di coloro che vengono considerati, a prova storica, dei dittatori. Ci possiamo accontentare di dire che la scelta dell'una o dell'altra soluzione permette di distinguere una concezione più restrittiva della tolleranza che è propria del liberalismo conservatore da una concezione più estensiva della tolleranza che è propria del liberalismo radicale progressista.

            Termino con due citazioni, di due scrittori politici italiani: il conservatore Gaetano Mosca respingeva come ingenua ed insipiente la dottrina che la violenza non potesse molto contro la verità e la libertà e che la verità finisse sempre con il trionfare contro la persecuzione e la libertà fosse rimedio a se stessa come "la lancia di Achille che guarisce i mali che essa stessa produce ". Sosteneva che la tolleranza verso gli intolleranti avrebbe fatto ridere i posteri. Luigi Einaudi al contrario progressista, scriveva: «i credenti nell'idea di libertà affermano che un partito ha pienamente diritto di partecipare alla vita politica anche quando sia dichiaratamente liberticida. Allo scopo di sopravvivere gli uomini liberi devono rinnegare le proprie ragioni di vita e la libertà medesima della quale si professano fautori. Perciò essi devono concludere se nonostante la nostra parola e la nostra posizione i cittadini preferiscono i liberticidi a noi è segno che essi non apprezzano il bene supremo e rinunciano alla ragione di vita che è continua liberazione da] male e lotta».

            Come sempre la lezione della storia è ambigua. Nella storia del nostro paese se si pensa all'avvento del fascismo dovremmo dare ragione a Mosca, se si pensa al processo graduale di democratizzazione del partito comunista daremmo ragione a Luigi Einaudi.

            Ciò in cui la storia non sembra ambigua è nella interdipendenza fra la teoria e la pratica della tolleranza e lo spirito laico. Quest'ultimo inteso come la formazione di quella mentalità che nasce con l'Europa moderna che affida le sorti del Regnum Hominis più alle ragioni della Ragione, che accomuna tutti gli uomini, che non agli impulsi delle credenze e ha dato origine da un lato agli Stati non confessionali come il nostro, neutrale in materia religiosa; dall'altro lato ha dato vita alla cosiddetta società aperta nella quale il superamento dei contrasti di fede, di credenze, di dottrine, di opinioni è affidato alla regola aurea della coesistenza delle libertà. Vale a dire la regola secondo cui la mia libertà si estende fino a che non invade la libertà degli altri o per dirlo con le parole di Kant: «la libertà dell'arbitrio di ognuno può sussistere con la libertà di ogni altro secondo la legge universale», e questa legge universale è per Kant la legge della Ragione.

 

Bologna 18 ottobre 1983

 

 

[Ringraziamo il Centro S. Domenico di Bologna che ci ha gentilmente concesso la riproduzione di questa conferenza del Prof. N. Bobbio tenuta nel quadro dei Martedì di S. Domenico. Insieme ad altre conferenze è stata pubblicata nel 1990 a Bologna in una edizione fuori commercio: Cominciò vent'anni fa. Il Centro S. Domenico 1970-1990.]