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Gustavo Gutiérrez, protagonista della teologia della liberazione

Gustavo Gutiérrez, protagonista della teologia della liberazione

2 novembre 2024

📍 Prof.ssa Dott.ssa María José Caram – insegna i corsi sullo Spirito Santo presso Domuni Universitas e all'Università Cattolica di Córdoba – Argentina. Insegna teologia in lingua spagnola e oggi rende omaggio a Gustavo Gutiérrez, OP, recentemente scomparso, che è stato suo amico e mentore.

"SENZA DI LUI CI SAREBBE FRANCESCO?"

Non è facile fare memoria dell'amico e maestro che è stato Gustavo Gutiérrez. Soprattutto quando i ricordi affiorano con intensità e ci colpiscono per il modo in cui la sua testimonianza e i suoi insegnamenti hanno segnato le nostre vite e il nostro operato teologico.

Amico e maestro

Ho conosciuto Gustavo nel 1992, quando ero appena arrivata a Lima, durante un corso di Teologia organizzato dalla Pontificia Università Cattolica del Perù.


Erano tempi difficili. Il paese soffriva una terribile guerra interna iniziata dal Partito Comunista-SL, che pochi giorni prima, con un commando, aveva assassinato e fatto esplodere il corpo della leader sociale María Elena Moyano. Nota a margine, a titolo di chiarimento: oggi il Perù continua a soffrire profondamente, come tanti paesi dell'America Latina, devastati da povertà estrema, violenza mortale e corruzione.

In quell'anno e in quelle circostanze, ho conosciuto Gustavo, l'amico e maestro di tante persone e comunità. Da allora ho avuto modo di incontrarlo spesso in riunioni nazionali di agenti pastorali organizzate regolarmente presso l'Istituto Bartolomé de las Casas o quando, per qualche motivo, mi recavo a Cusco.
Durante la preparazione del mio dottorato in teologia, abbiamo discusso molte volte dei testi che gli inviavo e che lui leggeva e commentava dettagliatamente. Così ho imparato non solo dalla sua erudizione (che era vasta), ma anche dal suo modo caldo, semplice e ispiratore di parlare di Dio e dei poveri. Parlava con affetto, saggezza e acutezza, senza mai perdere il senso dell'umorismo.

Gustavo diceva che il lavoro teologico si svolge in due atti: il primo consiste nel vivere in silenzio davanti a Dio, accogliere la sua volontà e impegnarsi con i fratelli. Il secondo, la teologia, viene dopo. Questo era esattamente il suo modo di procedere, e si notava molto. Era veramente un amico dell’“Amico della vita” (Sapienza 11, 26) (Gutiérrez, 1990, pag. 53), senza ambiguità. Per questo era un maestro. Perché la sua esistenza era testimonianza dell'amore per la Verità che ci rende liberi.


Una volta disse che il suo libro Teologia della liberazione. Prospettive “è una lettera d’amore a Dio, alla Chiesa e al popolo...” E che “l’amore continua vivo, ma si approfondisce e varia la forma di esprimerlo” (Gutiérrez, 1990, pag. 53). A proposito di questo amore, vale la pena menzionare ciò che una nostra amica comune ci ha ricordato in questi giorni di lutto per la sua partenza. Racconta che Gustavo desiderava che sulla sua lapide fosse incisa una frase di George Bernanos che dice così: “Quando morirò, dite al dolce regno della terra che l’ho amato molto più di quanto abbia mai osato confessare.”

Protagonista della Teologia della Liberazione

A Gustavo Gutiérrez si addice meglio il titolo di “Protagonista della Teologia della Liberazione”. È vero che molti lo riconoscono come il “padre di questa teologia”. Tuttavia, al di là del fatto che il suo libro Teologia della Liberazione. Prospettive abbia dato il nome a questa corrente di pensiero teologico nata in America Latina, l’opera del teologo peruviano si comprende meglio se la si colloca nel contesto di un nuovo modo di parlare di Dio in questo continente, di “oppressione e spoliazione che è l’America Latina” e dell’esperienza “condivisa nello sforzo di abolire… la situazione di ingiustizia e di costruire una società diversa, più libera e più umana” (Gutiérrez, 1990, pag. 14). Esperienza di cristiani di base, di persone che non condividono la stessa fede e di teologi/e inseriti in queste realtà segnate dalla morte precoce e ingiusta.


La sua riflessione si alimenta delle fonti del cristianesimo per dare ragione della speranza e accoglie anche intuizioni di pensatori in cui misteriosamente si manifesta lo Spirito di Dio. Uno di questi è il romanziere e antropologo José María Arguedas. Una breve ma profonda amicizia legò questi pensatori peruviani. Gustavo disse che Arguedas era “precursore della teologia della liberazione” (Gutiérrez, 2014, pag. 91). E come prova di questa convinzione, prese dalla sua opera Todas las sangres un lungo paragrafo che mise come epigrafe all’inizio di Teologia della liberazione.


Il testo arguediano presenta il vero Dio che si manifesta, come lo espresse lo stesso Gustavo, “dal rovescio della storia, di questo mondo ‘ignorato’ che Arguedas si sforzò di mostrarci in tutta la sua umanità, sofferenze e pene” (Gutiérrez, 2014, pag. 93). Fu anche Arguedas a porre una grande domanda nella sua opera Il volpe di sopra, il volpe di sotto, chiave per comprendere il senso della teologia della liberazione, tanto ieri quanto oggi. In quest’opera postuma, nella parte intitolata “Ultimo diario?”, il romanziere peruviano scrive: “È molto meno quello che sappiamo rispetto alla grande speranza che sentiamo, Gustavo?” (Arguedas, 2011, pag. 343).


Per Gustavo la teologia è ermeneutica della speranza e la liberazione comincia a realizzarsi nella speranza, facendosi strada, con gemiti, in una notte molto oscura, dove la violenza, così come la viviamo oggi nel mondo globalizzato, sembra perpetuarsi e ci indica che non si è ancora chiuso il ciclo che addormenta, inganna, promette e non mantiene, tende trappole e non libera, schiavizza e uccide (Caram, 2020, pag. 21).


L’opera di Gustavo è un contributo importante, forgiato negli sforzi di ricezione del Concilio Vaticano II in America Latina, attraverso le Conferenze Generali dell’Episcopato Latinoamericano, le riunioni e le assemblee ecclesiali a cui partecipò e le occasioni di riflessione convocate dal CELAM. Non si possono dimenticare gli incontri e i dialoghi con altri teologi latinoamericani durante i tempi in cui questa nuova teologia era messa in discussione.


Gustavo fu un uomo di Chiesa. La sua vita e opera si collocano nel contesto della testimonianza martiriale di tanti cristiani, teologi e pastori assassinati per la loro difesa della vita degli indifesi. Tra loro va ricordato Mons. Oscar Romero ed Enrique Angelelli. Ma ce ne sono molti altri.


Non gli fu chiesto di dare la vita cruentemente come a loro, ma l’ha offerta goccia a goccia, tra incomprensioni e persecuzioni. Non esitò a incontrare chi lo criticava, come fece a suo tempo Bartolomeo de las Casas. Lo fece sempre con onestà. Sapeva che l’unità della Chiesa non è “un fatto acquisito una volta per tutte, ma qualcosa sempre in processo, qualcosa che si conquista con coraggio e libertà di spirito, a costo, a volte, di dolorose lacerazioni” (Gutiérrez, 1990, pag. 180). Vale la pena ascoltare la valutazione che lo stesso Gustavo fa di questi periodi difficili per la teologia latinoamericana:


“Negli ultimi anni si è svolto un importante dibattito sulla teologia della liberazione nel contesto della Chiesa Cattolica. Se a livello personale – e per cause piuttosto passeggere – ci sono stati momenti dolorosi, l’importante è che si è trattato davvero di una ricca esperienza spirituale; è stata anche l’occasione per rinnovare in profondità la nostra fedeltà alla Chiesa in cui crediamo e speriamo comunitariamente nel Signore, così come per ribadire la nostra solidarietà con i poveri, privilegiati del Regno” (Gutiérrez, 1990, pagg. 18-19).

Ci sarebbe Francesco senza Gustavo?

Gli organizzatori di questo omaggio si chiedono se senza Gustavo Gutiérrez ci sarebbe Francesco. Mi sembra che Francesco sia un dono dello Spirito alla Chiesa e che non possiamo stabilire un ordine